La testuggine greca o testuggine moresca, è presente in Nord Africa lungo la costa che va dal Marocco fino alla Libia, e nell’areale euro-asiatico si estende dalla Grecia fino all’Iran, passando per i territori tra loro compresi. Sin dai tempi preistorici questa specie è stata spostata dall’uomo (probabilmente per fini alimentari) in varie parti del Sud Europa, e oggi ritroviamo due popolazioni naturalizzate in Spagna e in Sardegna, rispettivamente nella regione di Murcia nel primo caso, e nella penisola del Sinis nel secondo caso. Sia in Spagna che in Sardegna vengono segnalati ritrovamenti di
Testudo graeca anche in altre zone, ma le uniche popolazioni finora oggetto di studio, che hanno formato popolazioni attualmente vitali (in termini riproduttivi), sono quelle citate. Morfologicamente rientrano nel “gruppo africano” di
Testudo graeca, e geneticamente si fanno ricondurre in particolare alla sottospecie
Testudo graeca graeca in Spagna e
Testudo graeca nabeulensis in Sardegna.
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Nonostante questo, la popolazione sarda non combacia perfettamente, sia in termini genetici che morfologici, alla popolazione tunisina, ovvero quella di origine per la sottospecie T. g. nabeulensis. Alcuni autori, infatti, fanno rientrare la popolazione sarda, anch’essa nella sottospecie T. g. graeca, ma tale ipotesi può essere conseguenza al fatto che un tempo tutte le sottospecie africane erano incluse in questa unica sottospecie, quindi nel caso di dubbia identificazione, si utilizza in modo generico la classificazione nominale. La dicitura “Testudo graeca sarda” quindi, non ha né valore di sottospecie né può essere attribuibile, in modo unanime, a tutti gli esemplari presenti nell’isola. Soprattutto in cattività, si trovano esemplari appartenenti a diverse sottospecie e a probabili loro ibridi, anche al di fuori del “gruppo africano”, come Testudo graeca ibera. La presenza di Testudo graeca spesso si menziona anche in Sicilia, in particolare a Pantelleria, ma non esistono prove tangibili che ci siano state delle popolazioni sicule per questa specie.
Rari ritrovamenti in natura sono da ricondurre ad abbandoni in tempi recenti da parte dell’uomo o a fughe dalla cattività. Probabilmente l’uso errato, in tempi passati, del nome scientifico Testudo graeca attribuendolo ad esemplari di Testudo hermanni e viceversa, ha contribuito al diffondersi di certe informazioni, ad oggi risultate errate. Ad occhi inesperti, la somiglianza tra queste due specie è notevole, e ancora oggi molte persone che detengono in cattività questi animali non si rendono conto di avere in casa due specie diverse, con conseguenti problemi di salute dovuti a questa condizione forzata (come il passaggio di malattie, o semplice insofferenza verso esemplari che non appartengono alla stessa specie, che non permette una convivenza pacifica). Poter distinguere una T.graeca da una T.hermanni diventa immediato se si osserva la zona posteriore intorno alla coda. In T. graeca, questa è priva di astuccio corneo e ai suoi lati sono presenti dei tubercoli, inoltre lo scuto sopracaudale è unico; in T. hermanni al contrario, sulla punta della coda vi è un astuccio corneo, sono assenti i tubercoli, e lo scuto caudale, nella maggior parte dei casi, è diviso in due. Un’altra caratteristica di distinzione tra le due specie si presenta sulla testa: infatti in T. graeca (ma anche in T. marginata) al centro della testa è presente una squama di forma pentagonale, assente in T. hermanni dove sulla testa vi sono piccole squame distribuite in modo omogeneo. Ci sono ulteriori caratteri secondari da poter osservare, in esemplari adulti, anche se meno evidenti di quelli riportati in precedenza.
In T.graeca il quinto scuto vertebrale è più stretto del quarto, invece in T. hermanni il quinto scuto vertebrale è più largo del quarto. Infine, il piastrone in T. hermanni è rigido, invece in T. graeca è presente una cerniera semi-mobile che separa gli scuti femorali e quelli addominali; questa permette alle femmine adulte un più agevole movimento durante la deposizione delle uova.
Se distinguere queste specie è quindi un’impresa alla portata di tutti, altrettanto non si può dire tra le diverse sottospecie di Testudo graeca. Nel corso degli anni la genetica ha contribuito a ridurne notevolmente il numero, riconducendo diverse sottospecie a sinonimi, ma il numero di quelle attualmente ufficiali rimane comunque alto, e la variabilità morfologica all’interno di ognuna, rende la loro identificazione molto complessa. Conviene iniziare facendo una macro distinzione, ovvero tra le T. graeca del “gruppo africano” e quelle del “gruppo euroasiatico”. Al primo gruppo appartengono T. g. soussensis (Ovest Marocco), T. g. marokkensis (Nord Marocco), T. g. graeca (Est Marocco, Algeria), T. g. nabeulensis (Tunisia, Ovest Libia), T. g. cyrenaica (Est Libia), che si caratterizzano per avere testa e arti anteriori piccoli e affusolati, spesso macchiati di giallo, un carapace bombato con colori più accesi, e un piastrone con macchie scure sfumate che lasciano prevalere i colori chiari di fondo. Il quinto scuto vertebrale ha una forma rotondeggiante, e la sutura del piastrone tra gli scuti femorali e quelli addominali crea una curva con gli apici alle sue estremità rivolte internamente agli scuti addominali. Queste due caratteristiche vanno considerate solo in esemplari adulti, e valutando insieme le altre caratteristiche, poiché prese singolarmente non sono sufficienti per capire la sottospecie o la provenienza geografica. Al gruppo euro-asiatico appartengono T. g. ibera (Nord-Est Grecia, Bulgaria, Romania, Turchia e paesi confinanti), T. g. armeniaca (Georgia, Daghestan, Armenia, Azerbaigian), T. g. buxtoni (Est Turchia, Nord Iraq, Ovest Iran) T. g. zarudnyi (Est Iran, Sud-Ovest Turkmenistan), T. g. terrestris (Israele, Giordano, Libano, Siria, Sud Turchia). Quest’ultima sottospecie, sebbene geneticamente rientri nel “gruppo euro-asiatico”, da un punto di vista morfologico spesso ha caratteristiche attribuibili al “gruppo africano”. Non a caso il suo areale si trova anch’esso in una via di mezzo tra i due gruppi. Escludendo questa, le altre si caratterizzano per avere testa e arti anteriori grossi e tozzi, scuri in modo uniforme, un carapace schiacciato superiormente e largo, con colori spenti, e un piastrone che tende ad essere totalmente scuro con l’avanzare dell’età. Il quinto scuto vertebrale ha normalmente una forma pentagonale, e la sutura tra gli scuti femorali e addominali è dritta.
Passiamo adesso ad analizzare alcune caratteristiche tipiche delle singole sottospecie, considerando che per ognuna di esse vi sono le dovute eccezioni. Alcune risultano avere le medesime caratteristiche, quindi l’esatta identificazione in cattività può avvenire solo se si conosce l’origine geografica, o tramite indagini genetiche. In cattività inoltre ci sono molti ibridi tra sottospecie, e questi risultano impossibili da riconoscere, complicando ulteriormente le cose.
Testudo graeca graeca: la colorazione di fondo è gialla, con ogni scuto bordato di nero e con una o più macchie centrali; sulla testa è presente una macchia gialla; sul quinto scuto vertebrale vi sono due macchie nere al centro, che in alcuni casi, insieme al contorno scuro, formano un disegno simile a un teschio; i piccoli alla nascita hanno colori chiari, e sul piastrone è presente una macchia scura molto estesa. È la sottospecie africana che può raggiungere le maggiori dimensioni, anche 30 cm di carapace: in particolare, verso la costa centrale dell’Algeria, vi è una popolazione “gigante”, inizialmente descritta come sottospecie differente, con il nome di Testudo graeca whitei, che oltre alla grandezza, si differenzia anche per la forma e i colori del carapace, che si discostano dai canoni del “gruppo africano”. Geneticamente, però, è stata ricondotta a sinonimo di T. g. graeca e per tale motivo la questione sembra essere stata archiviata, considerata anche la difficoltà nel reperire ulteriori informazioni da esemplari in natura.
Testudo graeca nabeulensis: molto simile a T. g. graeca, la differenza sostanziale consiste nelle dimensioni, infatti con i suoi 15-18 cm è la sottospecie più piccola tra le T. graeca (insieme ad alcuni maschi di T. g. terrestris).
Testudo graeca cyrenaica: anch’essa molto simile a T. g. graeca, differisce per il disegno del carapace che presenta un disegno tipicamente maculato, soprattutto sugli scuti laterali.
Testudo graeca marokkensis: tra le africane, questa sottospecie presenta una maggiore variabilità, sebbene mantenga dei colori meno brillanti. Alcuni esemplari hanno una predominanza di giallo, altri invece di nero, altri ancora hanno un motivo punteggiato o raggiato sul carapace; questo inoltre termina posteriormente con gli scuti marginali rivolti verso l’esterno. I piccoli alla nascita sono scuri, e di colorazione marrone uniforme, il piastrone è più chiaro e al centro di esso vi è una macchia poco estesa.
Testudo graeca soussensis: molto simile a T. g. marokkensis, alcuni esemplari da adulti possono avere delle sfumature sulla pelle di colore arancione. Caratteristica unica per questa sottospecie, è la totale assenza, in molti suoi esemplari, dei tubercoli ai lati della coda.
Testudo graeca ibera: rappresenta l’archetipo della Testudo graeca euro-asiatica, quindi rispecchia le caratteristiche tipiche per questo gruppo. Ha una colorazione più scura, un carapace più largo e meno domato, con testa e arti massicci. I piccoli hanno una colorazione del carapace più chiara, e il piastrone può presentare una macchia più o meno estesa. È la sottospecie che può raggiungere le dimensioni maggiori (37-38 cm): in particolare una sua popolazione a Est della Turchia è caratterizzata da una taglia superiore alla media, e viene comunemente etichettata con il nome di “east anatolian”, in riferimento alla sua origine geografica.
Testudo graeca armeniaca: molto simile a T.g.ibera, la parte superiore del carapace è piatta, e la sua superficie non è liscia, nemmeno in esemplari pienamente adulti, dove si continuano a distinguere le diverse linee di crescita degli scuti. La colorazione degli adulti è scura e uniforme.
Testudo graeca zarudnyi: ha un carapace allungato, più largo posteriormente dove gli scuti marginali possono formare un “gonnellino”. Il carapace è marrone, con tonalità che variano dal color sabbia al color mattone.
Testudo graeca buxtoni: molto simile a T. g. zarudnyi, i piccoli alla nascita si presentano di colore marrone scuro.
Testudo graeca terrestris: questa è in assoluto la sottospecie di T. graeca che presenta, al suo interno, la maggiore eterogeneità di colori e forme. Infatti, nonostante il suo areale sia relativamente ristretto, al suo interno si trovano diversi ambienti con climi dai più umidi e ai più secchi, che hanno condizionato fortemente la morfologia. Non a caso molte presunte sottospecie, descritte in un primo momento solo su base morfologica (T. g. floweri, T. g. antakyensis, T. g. anamurensis), dopo indagini genetiche, sono state ricondotte a suoi sinonimi. La forma classica, o la più comune, di questa sottospecie, si caratterizza per avere un carapace cupuliforme, e con un colore generalmente giallo con una grossa macchia nera su ognuno degli scuti vertebrali e laterali. La colorazione può variare dal giallo, al nero, al marrone, fino all’arancione e al rosa. In casi limite, alcuni esemplari sono totalmente neri, o al contrario totalmente gialli (questa varietà cromatica viene comunemente detta “golden greek”).
Anche la forma del carapace può cambiare, in alcune popolazioni è più allungata e presenta un “gonnellino” posteriore. Testudo graeca ha un carattere molto vivace, testarda e territoriale, mal sopporta la presenza di estranei nel proprio territorio, siano anche esemplari appartenenti alla stessa specie. I maschi, in particolare, sono molto insistenti con le femmine e aggressivi con gli altri maschi. I ripetuti morsi e i colpi tra le corazze, possono portare a gravi ferite. In cattività dunque, dove le tartarughe si ritrovano in condizioni di convivenza continua, potrebbe essere necessario dover isolare alcuni esemplari, valutando l’indole di ognuno di essi. A esclusione della sottospecie T. g. terrestris, gli esemplari appartenenti al gruppo “euro-asiatico” sopportano bene le basse temperature, infatti in inverno vanno in letargo, nascondendosi in qualche tana o infossandosi completamente sotto terra. In tal modo, risentono meno degli sbalzi di temperatura e possono affrontare il periodo di latenza senza interruzioni. Durante l’estate, lo stesso comportamento viene assunto in caso di temperature troppo alte.
Le sottospecie africane invece, in linea generale non fanno letargo, anche se alcune sottospecie, come T. g. graeca, per istinto si interrano e rimangono latenti con l’abbassarsi delle temperature, potendo affrontare così degli inverni miti, come quelli di alcune regioni del Sud Italia.
In cattività vi è una forte selezione, molti esemplari del “gruppo africano” di T. graeca arrivano, più o meno legalmente, in Italia per soddisfare le richieste degli allevatori, ma solo una minima parte riesce ad acclimatarsi. L’utilizzo di una serra fredda può essere d’aiuto per le specie più delicate, come T. g. nabeulensis, che per natura non fanno letargo, e non cercando un riparo, soccombono al primo inverno passato fuori. La sottospecie più robusta (e la più comune in cattività, da poter allevare senza troppi accorgimenti, sia al Sud che al Nord Italia) rimane senza dubbio T. g. ibera, che si riproduce con notevole successo. Le femmine fanno due o tre deposizioni l’anno, di quattro o cinque uova ciascuna. I piccoli nascono dopo circa tre mesi, preferibilmente in una giornata seguente a una pioggia di fine estate che, ammorbidendo il terreno, ne agevola la risalita in superficie.
Le femmine riescono a conservare lo sperma anche dopo molto tempo (fino a 3 anni) dall’ultimo accoppiamento, e ciò permette di deporre uova fertili consecutivamente, anche in anni in cui non sono state coperte da un maschio. Questa caratteristica è comune a molte specie di testuggini ed è giustificata dal fatto che in natura non sono animali che solitamente vivono in comunità, quindi una volta che un maschio e una femmina hanno la fortuna di incontrarsi, devono far sì che da quell’accoppiamento, ottengano un elevato vantaggio numerico in termini riproduttivi, per più generazioni.